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Il decesso del beneficiario di amministrazione di sostegno e la consegna dei beni ereditari

2025-08-03 15:57

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Il decesso del beneficiario di amministrazione di sostegno e la consegna dei beni ereditari

A seguito della morte del beneficiario di amministrazione di sostegno potrebbe non essere facile individuare il soggetto a cui consegnare i beni del defunto

La morte del beneficiario è una delle cause di estinzione della procedura di amministrazione di sostegno. Ancorché non vi sia una espressa norma di legge è comunque facile intuirne il perché: venendo meno il soggetto destinatario della misura di protezione, ed estinguendosi la capacità giuridica dello stesso, vengono meno i poteri di rappresentanza (e di assistenza) del suo Amministratore di Sostegno e si apre la successione ereditaria. Non esistendo più un soggetto da tutelare la procedura di A.D.S. si deve chiudere.


Tutto ciò però, in concreto, non avviene nel medesimo istante in cui si verifica la morte dell’amministrato: la chiusura della procedura potrà infatti essere decretata dal Giudice Tutelare solo dopo che l’Amministratore di sostegno avrà dato formale notizia del decesso (mediante il deposito del certificato di morte) e dopo che avrà depositato il c.d. rendiconto finale della gestione, per il quale è previsto un termine di due mesi dalla morte del beneficiario (con possibilità di proroga da richiedere al medesimo Giudice).


Vi sarà quindi, per forza, un lasso di tempo in cui l’Amministratore di sostegno, seppur decaduto dal proprio Ufficio di rappresentanza o assistenza, potrebbe comunque di fatto trovarsi a “gestire” alcune incombenze residuali quali, ad esempio, l’organizzazione del funerale del beneficiario e il pagamento delle relative spese (per un cenno ad alcuni risvolti fiscali della questione clicca qui).


Ciò accade soprattutto – e non è raro – nei casi in cui il beneficiario di amministrazione di sostegno non abbia avuto in vita una cerchia familiare presente o perché, una volta apertasi la successione, i parenti dello stesso non siano immediatamente raggiungibili (in quanto irreperibili o totalmente sconosciuti all’ADS) oppure, ancora, semplicemente perché i parenti, o comunque i chiamati all’eredità, non intendono occuparsi di alcuna incombenza relativa al defunto. Questa forma di “disinteresse” potrebbe sussistere per i più disparati motivi, ma molto spesso è causata dal fatto che in capo ai chiamati non sia ancora maturata una decisione in merito all’accettare o meno l’eredità e si vuole quindi scongiurare il rischio di una accettazione c.d. “tacita”.


Il decesso del beneficiario di amministrazione di sostegno produce quindi contemporaneamente due effetti: da un lato l’apertura della successione (nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto, ai sensi dell’art. 456 c.c.) e dall’altro la decorrenza del termine per l’Amministratore di sostegno per il deposito del rendiconto (art. 385 c.c. applicabile all’A.D.S. in forza del richiamo dell’art. 411 c.c.) che porterà, come abbiamo visto, alla pronuncia del decreto di chiusura della procedura. Vi è però un’altra importante questione che coinvolge l’Amministratore di sostegno a seguito del decesso del beneficiario: quella inerente al problema di capire a quale soggetto consegnare i beni che appartenevano al beneficiario. Sempre l’art. 385 c.c. (che è previsto in materia di tutela, ma come detto è applicabile all’Amministratore di sostegno in forza del richiamo di cui all’art. 411 c.c.) stabilisce infatti che “il tutore che cessa dalle funzioni deve fare subito la consegna dei beni”. La norma, volutamente generica, si riferisce all’ampio concetto di “cessazione dalle funzioni”, effetto che potrebbe essere una conseguenza di un provvedimento di revoca, di una sopraggiunta inidoneità della procedura per la realizzazione della tutela del beneficiario, della decorrenza del termine finale di durata dell’incarico (ove previsto a tempo determinato) ed infine, per quel che ci interessa in questa sede, della morte del beneficiario.


Con riguardo a questo dovere di consegna imposto dall’art. 385 c.c., la domanda che vogliamo quindi porci (tenendo conto delle norme di legge in materia successoria) è la seguente: a quale soggetto l’amministratore di sostegno può (e deve) consegnare i beni che appartenevano al beneficiario a seguito della morte di quest’ultimo?


Il tema è delicato. Nessun amministratore di sostegno cessato dalle sue funzioni avrebbe infatti piacere di continuare a “gestire” a tempo indeterminato dei beni altrui senza una formale legittimazione! 


Il rischio di incorrere in qualche tipo di responsabilità potrebbe non essere infatti trascurabile: si pensi al caso in cui l’ex amministratore di sostegno, ancora di fatto in possesso dei beni del beneficiario dopo la morte di questi, subisca un furto nei locali in cui erano custoditi questi beni; oppure al caso in cui l’ex amministratore di sostegno provochi direttamente o indirettamente un danno materiale a uno di essi; oppure, ancora, pensiamo anche solo al caso di un danno a terzi originato da uno dei beni immobili che erano di proprietà del beneficiario ora defunto (incendi, perdite d’acqua, cadute accidentali, ecc.).


Come si può intuire, l’amministratore di sostegno cessato dalle sue funzioni – in assenza di una diversa formale investitura ad altro titolo – ha tutto l’interesse a spogliarsi prima possibile del possesso dei beni che appartenevano al beneficiario deceduto.


Evidentemente, la problematica sollevata in questa sede non avrebbe troppa giustificazione se ci limitassimo a pensare al classico caso in cui, apertasi la successione, i c.d. “chiamati” siano individuati, consapevoli e già pronti ad accettare l’eredità del defunto beneficiario di amministrazione di sostegno. In questo caso, l’ex amministratore di sostegno dovrà evidentemente effettuare la consegna dei beni a questi soggetti, salvo tenere in considerazione la presenza di eventuali legati disposti a favore di terzi per testamento (o dalla legge, es. legato dei diritti di uso e abitazione ai sensi dell’art. 540 comma 2 c.c.). È invece nostra intenzione andare a sondare, seppur sommariamente, le possibilità che l’ex amministratore di sostegno ha nei casi in cui dei chiamati non siano immediatamente reperibili, oppure nei casi in cui, pur individuati e raggiunti, essi non intendano prendere in consegna i beni nelle more di una decisione in merito all’accettazione o rinuncia dell’eredità. Andremo quindi ad analizzare le possibilità che si configurano in questi casi; cercando di fare un cenno agli istituti giuridici che potrebbero essere coinvolti nel momento in cui l’amministratore di sostegno, ormai formalmente cessato dalle sue funzioni a seguito della morte del beneficiario, si trovi a dover effettuare la consegna dei beni ai sensi del combinato disposto degli articoli 385 e 411 c.c.


Tratteremo quindi dell’esecutore testamentario (art. 700 e ss. cc.), dei poteri del chiamato all’eredità prima dell’accettazione (art. 460 c.c.) e della curatela dell’eredità giacente (art. 528 e ss. c.c.).




L’ESECUTORE TESTAMENTARIO


Uno dei possibili destinatari della consegna dei beni da parte dell’amministratore di sostegno cessato dalle sue funzioni in seguito alla morte dell’amministrato è senza dubbio l’esecutore testamentario. Ai sensi delle norme di cui agli articoli 700 e seguenti del Codice civile è infatti contemplata la possibilità per un soggetto di prevedere nel proprio testamento la nomina di un soggetto di propria fiducia che possa assumere il compito di garantire l’esatta attuazione delle disposizioni di ultima volontà espresse nella propria scheda testamentaria.


Come è facile intuire, le motivazioni che possono portare alla nomina di un esecutore testamentario possono essere molteplici e spaziano dalla mancanza di fiducia nei confronti degli eredi designati, alla complessità delle singole disposizioni testamentarie (che in alcuni casi possono richiedere competenze specifiche, anche di natura tecnica).  


Al fine di curare l’esatta esecuzione delle disposizioni testamentarie previste dal testatore. L’esecutore testamentario potrebbe essere quindi munito (e normalmente lo è) di poteri amministrativi inerenti ai beni oggetto del suo incarico, nonché di legittimazione processuale a tutela del patrimonio ereditario che si trova a dover gestire. Ciò in forza di quanto previsto già dalla legge e, eventualmente, dalla volontà del testatore, il quale ha comunque la facoltà di specificare le funzioni dell’esecutore, ampliandole o limitandole in base alla sua volontà e fatti salvi, comunque, i limiti di legge.


Secondo l’orientamento dominante in dottrina e giurisprudenza, l’inquadramento giuridico dell’esecutore testamentario dovrebbe essere quello di un ufficio di diritto privato senza funzione rappresentativa. L’esecutore non è quindi un rappresentante dell’eredità, ma agisce (in forza dell’incarico ricevuto) in nome proprio ma nell’interesse altrui.


Tenendo in considerazione l’astratta possibilità di un coinvolgimento di questa figura giuridica, pertanto, l’amministratore di sostegno che cessa le proprie funzioni in seguito al decesso del beneficiario dovrebbe quindi innanzitutto attivarsi per verificare l’eventuale presenza di un testamento redatto dal beneficiario di amministrazione di sostegno e, nel caso di positivo riscontro, accertare l’eventuale presenza di una eventuale nomina di un esecutore testamentario. Tutto questo perché, proprio in considerazione dei citati poteri gestori conferiti dalla legge e/o dal testatore stesso, l’esecutore testamentario potrebbe essere uno (o meglio, il primo!) dei soggetti destinatari della consegna dei beni ai sensi dell’art. 385 c.c.


[RINVIO PER APPROFONDIMENTI] Sulla capacità di testare del beneficiario di amministrazione di sostegno si rinvia a questo studio del Consiglio Nazionale del Notariato. Sulla possibilità per l’ex amministratore di sostegno di essere (lui stesso) nominato esecutore testamentario del proprio amministrato e sulla connessa questione relativa all’incapacità di ricevere per testamento si rinvia a "NOMINA DELL’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO QUALE ESECUTORE TESTAMENTARIO" Risposta a Quesiti n. 89/2018/C  di Tresca Federica (a cura del Consiglio Nazionale del Notariato).  




IL CHIAMATO ALL’EREDITA’ E I SUOI POTERI PRIMA DELL’EVENTUALE ATTO DI ACCETTAZIONE


In assenza di un esecutore testamentario o in presenza di un esecutore nominato con poteri gestori limitati (abbiamo visto infatti che questa figura, a seconda delle previsioni del testatore, potrebbe attrarre su di sé più o meno ampi poteri di gestione sulla massa ereditaria: nel suo complesso o solo su una parte dei beni), uno dei potenziali destinatari della consegna dei beni ai sensi dell’art. 385 c.c. è il c.d. “chiamato” all’eredità, anch’egli destinatario in determinati casi, ai sensi dell’art. 460 c.c., del conferimento ex lege di poteri amministrativi, di conservazione e di legittimazione processuale.


La figura del “chiamato” all’eredità va tenuta ben distinta da quella dell’erede, proprio perché la specifica qualificazione che riguarda il primo è ontologicamente connessa al fatto che egli non abbia compiuto nessun atto di accettazione espressa o tacita dell’eredità. Si tratta pertanto di quel soggetto, individuato in forza di legge o per testamento, che non ha ancora sostanzialmente assunto la qualifica di erede.


Sempre nell’ottica di assicurare la conservazione dei beni ereditari, in quel lasso di tempo che va dall’apertura della successione alla assunzione della qualità di erede da parte di qualcuno dei soggetti a cui l’eredità è devoluta (per legge o per testamento), il legislatore ha previsto che alcuni poteri gestori ed alcune specifiche facoltà possano stare anche in capo ai meri chiamati all’eredità i quali potrebbero, ad esempio: esercitare le c.d. azioni possessorie per recuperare o tutelare il possesso (es. reintegrazione, manutenzione, azioni di nunciazione), compiere atti conservativi (quali interventi necessari per preservare i beni), compiere atti di vigilanza (controlli preliminari e verifiche documentali), compiere atti di amministrazione temporanea (al fine di evitare depauperamento patrimoniale e scongiurare perdite di valore economico dei beni produttivi), infine, in alcuni casi, potrebbero addirittura procedere alla alienazione di beni ereditari (previa autorizzazione del Tribunale e solo per giustificati motivi). 


Detto questo, bisogna certamente dare atto e considerare, come è stato più volte sottolineato anche in dottrina, che è molto labile il confine tra gli atti meramente gestori, conservativi e di amministrazione temporanea e quelli che potrebbero invece qualificarsi come veri e propri atti di accettazione tacita di eredità in capo al chiamato. Si deve inoltre tenere conto del fatto che il chiamato all'eredità, in forza della previsione di cui all'art. 460 comma 3 c.c., non può esercitare i poteri sopra indicati nel caso in cui sia già stato nominato un curatore dell'eredità giacente ai sensi dell'art. 528 c.c. (si veda meglio infra).


Ma al netto di ciò, comunque, per quanto sopra detto (e in assenza di una già avvenuta apertura della curatela dell'eredità giacente), anche il chiamato all’eredità potrebbe certamente essere uno dei soggetti potenzialmente destinatari della consegna dei beni, ai sensi dell’art. 385 c.c., da parte dell’amministratore di sostegno che abbia cessato il proprio incarico in conseguenza del decesso dell’interessato.




IL CURATORE DELL’EREDITA’ GIACENTE


Cosa accade in assenza di un esecutore testamentario, nel caso di chiamati all’eredità sconosciuti o irreperibili, e comunque nel caso di chiamati all’eredità che non si trovino in possesso dei beni? Ossia in mancanza delle figure che astrattamente potrebbero amministrare la massa ereditaria in attesa del subentro da parte degli eredi effettivi?


La risposta va individuata tra le norme di cui agli articoli 528 e seguenti del Codice civile, laddove si delinea l’istituto della curatela dell’eredità giacente.


Anche qui ritroviamo ancora una volta lo scopo di evitare che, nel lasso di tempo tra l’apertura della successione e l’effettiva accettazione di eredità da parte dei chiamati, i beni ereditari rimangano senza alcuna tutela: si ribadisce quindi nuovamente l’obiettivo del legislatore di garantire la possibilità di una concreta attività di conservazione e amministrazione della massa ereditaria nelle more di una sua definitiva assegnazione agli eredi.


L’art. 528 c.c. prevede infatti che quando il chiamato non abbia accettato l'eredità e non sia nel possesso di beni ereditari, il tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza delle persone interessate (o anche d'ufficio), nomini un “curatore dell'eredità”.


N.B.: alle due condizioni di legge (mancata accettazione e non possesso dei beni in capo al chiamato) è pacifico che ne vada aggiunta un’altra (che ci riporta ad uno dei soggetti già sopra considerati!) ossia: l’assenza di un esecutore testamentario. Come è facile intuire, infatti, considerato che l’esecutore testamentario è un soggetto incaricato proprio di amministrare la massa relitta (per altro individuato direttamente dal soggetto della cui eredità si tratta), si esclude la necessità, in presenza del primo, di nominare un curatore dell’eredità giacente (sostanzialmente perché si potrebbe creare una sovrapposizione di più amministratori dei medesimi rapporti). Ciò, ovviamente, a meno che il testatore non abbia pesantemente limitato e quindi di fatto svuotato di poteri amministrativi o del possesso dei beni l'esecutore testamentario o, infine, nel caso in cui l'incarico dell'esecutore sia già terminato (ai sensi dell'art. 703 c.c., infatti, l’esecutore testamentario può restare in carica solo per un anno, più un secondo anno nel caso di accordata proroga per motivi di evidente necessità).


Anche nel caso del curatore dell’eredità giacente si è quindi in presenza di un ulteriore soggetto che, pur non essendo un rappresentante in senso proprio, assume formalmente in capo a sé i compiti di gestire e realizzare tutti gli atti necessari per la conservazione attiva del patrimonio ereditario, con poteri autonomi e riconducibili (secondo l’orientamento prevalente) a una vera e propria funzione pubblica, le cui principali attività includono: l’obbligo di prestare giuramento, la redazione dell’inventario, l’onere di tutelare i diritti e promuovere le ragioni dell’eredità, il potere di rispondere alle istanze rivolte contro l’eredità, l’obbligo di presentare la dichiarazione di successione.


È evidente allora, anche alla luce di queste ultime considerazioni, che un ulteriore soggetto, tra i potenziali destinatari della consegna dei beni, ai sensi dell’art. 385 c.c., da parte dell’amministratore di sostegno che abbia cessato il proprio incarico in conseguenza del decesso dell’interessato, sia proprio il curatore dell’eredità giacente (la cui nomina potrebbe per altro essere richiesta proprio dall’ex amministratore di sostegno laddove, ad esempio, risulti ancora creditore della liquidazione della equa indennità a cui potrebbe aver diritto dopo la cessazione del proprio incarico!).


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Per concludere, e tornando quindi alla domanda che ci eravamo inizialmente posti, ovvero, a quale soggetto l’amministratore di sostegno può (e deve, ai sensi dell’art. 385 c.c.) consegnare i beni che appartenevano al beneficiario a seguito della morte di quest’ultimo? È possibile dare a questo punto le seguenti indicazioni:


1) È innanzitutto necessario verificare l’eventuale presenza di un testamento e, al suo interno, l’eventuale nomina di un esecutore testamentario che possa prendere in consegna i beni ereditari (prestando a tal fine molta attenzione ai poteri conferiti ed agli eventuali limiti posti dalla legge o dal testatore stesso);


2) In assenza di esecutore testamentario (o in presenza di sostanziali limiti gestori imposti dal testatore), verificare la presenza e la reperibilità effettiva dei chiamati all’eredità e la loro eventuale disponibilità a ricevere la consegna dei beni ereditari;


3) In assenza di esecutore testamentario (o in presenza di sostanziali limiti gestori imposti dal testatore) e nel caso di chiamati all’eredità sconosciuti o irreperibili e, comunque, anche nel caso di chiamati all’eredità che non si trovino in possesso dei beni e che non siano disponibili a ricevere la consegna dei beni, verificare la possibilità di chiedere o far chiedere la nomina di un curatore dell’eredità giacente al quale, in ultima istanza, consegnare i beni ereditari.


Come si può notare, il quadro così sommariamente delineato (ovviamente senza alcuna pretesa di esaustività, ma si spera con sufficiente chiarezza) mette in evidenzia un vero e proprio potenziale “passaggio di consegnetra diverse figure di soggetti comunque deputati all’amministrazione di un patrimonio: dall’amministratore di sostegno (che, appunto, “sostiene”, aiuta e tutela il beneficiario – mentre è in vita – anche nella gestione dei suoi rapporti patrimoniali), si può passare all’esecutore testamentario, al chiamato all’eredità o al curatore dell’eredità giacente; figure anch’esse deputate a gestire (gran parte de)i medesimi rapporti che facevano capo al beneficiario defunto. Rapporti la cui titolarità è però ora temporaneamente “sospesa”, in attesa che si definisca in concreto la vicenda successoria a beneficio degli effettivi eredi.  


Avv. Giovanni Quaresima* | Successioni.legal


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*il presente testo è frutto della rielaborazione della lezione tenuta dallo stesso autore il 25 novembre 2024 all'interno del Corso di formazione e aggiornamento per Amministratori di Sostegno organizzato dalla Fondazione Forense Bolognese e dall'associazione Auxilium.



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